Vino salentino nel Seicento: tra riforme religiose, nuova liturgia e paesaggio agrario
Prefazione : Un Viaggio nella Storia
In un’epoca in cui l’interesse per il cibo e il vino va oltre il semplice consumo, sempre più esperti e appassionati si rivolgono alla storia per comprendere le radici profonde delle nostre tradizioni enogastronomiche. La riscoperta delle pratiche antiche, dei paesaggi agrari storici e delle connessioni tra cultura, religione e produzione alimentare arricchisce la nostra esperienza contemporanea del gusto. Wine Food Voyage è orgogliosa di aprire il proprio blog a contributi che esplorano queste dimensioni storiche e culturali, offrendo ai lettori nuove prospettive sul patrimonio enogastronomico salentino ed italiano. Siamo lieti di presentare questo prezioso contributo storico del ricercatore Dante SACCO che ci accompagna nel Salento del Seicento, alla scoperta di come riforme religiose e pratiche agrarie abbiano plasmato la viticoltura del territorio. La Redazione
di Dante SACCO
Nel XVII secolo il Salento vive una stagione di forte trasformazione religiosa e sociale che si riflette anche nelle pratiche agrarie e nella cultura del vino. Sotto la guida del vescovo Luigi Pappacoda (episcopato 1639–1670) si avverte un rinnovato impegno pastorale e disciplinare che investe le comunità locali e le loro pratiche rituali: la cura delle chiese, la promozione di nuove forme devozionali e la centralità delle celebrazioni liturgiche contribuirono a ridefinire spazi e tempi sociali, influenzando consumi, produzione e traffico commerciale del vino locale.

Figura 1-Immagine di Mons. Luigi Pappacoda e bassorilievo dello stemma araldico
La vite e il vino nel paesaggio agrario
Dal punto di vista materiale, la vite e il vino nel Salento non sono soltanto prodotti economici: sono elementi integranti del paesaggio agrario, segnano l’ossatura dei poderi, le siepi, i muretti a secco e gli assi viari nel territorio sempre più ruralizzato. Nel Seicento la viticoltura nel Salento centro meridionale era caratterizzata da forme di conduzione spesso frammentate (piccoli fondi, mezzadria, coltivazioni eseguite in regime familiare per conto di aristocrazia e clero), con varietà locali adatte ai suoli calcarei e al clima mediterraneo; la produzione era destinata sia al consumo quotidiano sia alle pratiche sacramentali — il vino per la messa — e alle offerte delle confraternite. L’esigenza di assicurare vino per le chiese e per le pratiche religiose influenzò decisioni agrarie locali: la riserva di oliveti e vigneti vicino ai centri abitati, la gestione dei vitigni locali più affidabili e la conservazione delle botti nei magazzini parrocchiali.


Riforme pastorali e gestione delle risorse ecclesiastiche
Le riforme pastorali e liturgiche promosse nel territorio (tra cui le visite ad limina e le relazioni episcopali) portarono inoltre a una standardizzazione di alcuni aspetti rituali: attenzione alla purezza del vino usato per l’eucaristia, controlli sulle donazioni e sulle offerte, e più in generale una vigilanza su come venivano amministrati i beni ecclesiastici. Di conseguenza si intensificarono pratiche amministrative sulle risorse agricole di pertinenza ecclesiastica e conventuale: molte congregazioni consapevoli del loro ruolo economico-gestionale riorganizzarono le proprie tenute, investendo in magazzini, in palmenti per la vinificazione e in sistemi di stoccaggio che garantissero la conservazione del vino per i consumi liturgici e per il mercato locale. I dati d’archivio suggeriscono proprio a questo rapporto fra riforma ecclesiastica e gestione delle risorse agrarie nella Terra d’Otranto.


Il paesaggio viticolo: tra funzione e simbolo
Sul piano del paesaggio, la viticoltura del Seicento contribuì a plasmare ecosistemi agrari riconoscibili: filari diradati quando prevalevano modelli arbustivi, siepi e pergolati nelle aree più protette, e l’uso sistematico delle pietre locali (muretti a secco) per delimitare particelle, in funzione antivento, al riparo dalle greggi e conservare umidità. l valore paesaggistico del vigneto era anche simbolico: filari che accompagnavano processioni, cappelle votive sorvegliate da vigneti, e terre offerte come dote o come lascito testamentario — tutti elementi che mostrano come la produzione viticola fosse intrecciata alle reti sociali, religiose e rituali del territorio. Studi, archivi locali e pratiche devozionali evidenziano come l’agricoltura salentina non sia mai stata separata dalla dimensione culturale e religiosa della comunità.

Tecniche tradizionali e domanda ecclesiastica
Infine, un profilo economico-culturale: il vino del Salento, nel Seicento, fu prodotto secondo tecniche che oggi potremmo definire “tradizionali”: vinificazione in vasche e anfore di terracotta, uso di botti per la conservazione, e una dipendenza forte dal mercato locale e dal consumo interno. La domanda ecclesiastica (per messe, sacramenti, feste patronali) offriva una domanda stabile e spesso preferenziale per certe qualità; in parallelo, le crisi demografiche o le ondate di cattive annate potevano però incidere rapidamente sulla disponibilità e sulla qualità del vino destinato alla liturgia. Gli interessi della proprietà ecclesiastica e dell’aristocrazia talvolta si traducevano in interventi migliorativi sulle tecniche di conservazione e soprattutto con pratiche agronomiche che portarono all’eradicazione di ampie aree boschive.


Ringraziamo sentitamente Dante SACCO per questo prezioso contributo che arricchisce la nostra comprensione della storia viticola salentina e ci auguriamo che continui ad omaggiarci di questi contributi.
